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La natura perentoria dei termini della mediazione demandata

InMediaLex • 19 aprile 2018

Molto spesso il giudice pone un termine temporale per attivare una domanda presso un organismo, ma trattandosi di un metodo alternativo al giudizio la mediazione non è soggetta alle norme del c.c. che normano la decorrenza dei termini.

Le parti possono proporre la mediazione anche scaduti i termini imposti dal giudice, infatti decorsi i termini è comunque necessario avviare il procedimento, quale condizione di procedibilità del giudizio. L'Organismo di mediazione è comunque tenuto ad accettare la domanda ed avviare il procedimento.

Di seguito riportiamo il testo della sentenza della Corte di Appello di Milano.

Corte di appello di Milano, sez. I Civile, sentenza

Presidente Santosuosso – Estensore Fiecconi

Svolgimento del processo
1. In data 03.03.2015 il sig. C. proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 7869/2014 emesso dal
tribunale di Monza per la somma di € 115.433,18 in favore di I… S.p.a. quale procuratore di Intesa Sanpaolo spa. Nell’opporsi al decreto ingiuntivo C. deduceva la falsità della propria sottoscrizione sulla fideiussione, costituente il titolo in base al quale gli era stato ingiunto il decreto ingiuntivo. Il giudice, alla prima udienza del 16.7.2015, rilevava che la controversia rientrava tra quelle per cui è stata reso obbligatorio il tentativo di mediazione e assegnava i termini di legge per avviare detto procedimento. L’opponente avviava tardivamente il procedimento di mediazione telematica che dava esito negativo all’incontro del 16.12.2015.
2. In data 21.01.2016, il Tribunale di Monza con sentenza contestuale n. 156/2016 del 21.1.2016 respingeva l’opposizione dichiarandola improcedibile per mancato esperimento del tentativo di mediazione nel termine assegnato e confermava il decreto ingiuntivo.
3. Avverso la suddetta decisione il 27 giugno 2016 il Sig. C. svolgeva appello con atto di citazione notificato regolarmente alla controparte, deducendo l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha ritenuto che il termine di 15 giorni indicato dal giudice per la presentazione della domanda di mediazione fosse inutilmente spirato senza richiesta di proroga. Assumeva l’appellante che il termine di legge non fosse da ritenersi perentorio e che il successivo esperimento del tentativo di mediazione fosse idoneo a precludere qualsiasi censura di improcedibilità o inammissibilità dell’atto di citazione in opposizione. Nel merito
l’appellante insisteva per l’espletamento della CTU grafologica a seguito del disconoscimento della sottoscrizione apposta sulla polizza fideiussoria prodotta da controparte a fondamento del proprio credito, cui era immediatamente stata annessa la richiesta di verificazione da parte della convenuta opposta.
4. Alla prima udienza del 28 giugno 2016 la Corte disponeva la CTU richiesta.
5. Esperita la CTU grafologica nel corso del giudizio di appello, la controversia giungeva nella fase decisionale per l’udienza del 28 febbraio 2017, sulle conclusioni sopra indicate.

Motivi della decisione
6. Le questioni su cui la Corte è chiamata a pronunciarsi sono le seguenti:
Questione uno: sulla improcedibilità della controversia per tardivo esperimento del procedimento di mediazione
Questione due: sulla sussistenza dell’obbligo fideiussorio del Sig. C.
Sulla prima questione
7. Il giudice di prime cure ha rilevato come il mancato rispetto del termine di quindici giorni, fissato per l’instaurazione del procedimento di mediazione da parte dell’opponente, su cui grava il relativo onere, comporta l’improcedibilità dell’opposizione, con la conseguente conferma del decreto ingiuntivo opposto (richiamando Cass. 24629/2015). In specie, la procedura conciliativa avrebbe dovuto essere attivata entro il
31.07.2015. Quindi, rilevato che il deposito della relativa istanza da parte del sig. C. era stata inoltrata solo in data 18.11.2015, il giudice di prime cure ha dichiarato improcedibile l’opposizione.
8. L’appellante C. deduce come il deposito tardivo della domanda di mediazione (avvenuto il 18.11.2015) non potrebbe essere assimilato al mancato deposito della istanza, oltre tutto per un tentativo di mediazione che ha dato esito negativo. Difatti, nonostante l’ istanza di mediazione fosse stata depositata tardivamente, il procedimento di mediazione si è comunque svolto, integrando così la condizione di procedibilità richiesta dalla legge.

Opinione della Corte
9. Ritiene questa Corte che, nel caso in esame, la sentenza n. 24629/2015 della Corte di cassazione che, con riguardo all’esperimento del tentativo obbligatorio di mediazione nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo, ha distribuito gli oneri tra le parti, e in particolare ha gravato di detto onere il debitore opponente, non rilevi nel caso concreto, ove si discute in merito al preteso mancato rispetto da parte del debitore opponente del termine di 15 giorni indicato dal giudice quale termine per attivare detto procedimento. Difatti in tale circostanza il procedimento di mediazione è stato sì attivato dall’opponente (e
dunque da una parte processuale), ma con ritardo rispetto al termine assegnato dal giudice in sede di opposizione a decreto ingiuntivo. Questa Corte dunque è chiamata a decidere se il mancato rispetto del termine di 15 giorni assegnato dal giudice per avviare il tentativo di mediazione, alla stregua della legge sulla mediazione processuale, possa ritenersi equivalente al mancato tentativo di mediazione nei casi in cui esso sia previsto come obbligatorio, situazione- quest’ultima- che certamente determina l’improcedibilità del giudizio ordinario.
10. Rispetto a tale evenienza, la Corte rileva come il termine assegnato dal giudice corrisponda a quello di quindici giorni indicato dalla legge nell’art. 5 del d.lgs 28/2010 senza alcuna indicazione del carattere
perentorio del medesimo. Quindi, considerando che il tentativo di mediazione è stato comunque esperito (con esito negativo), il giudice avrebbe dovuto rilevare che la condizione di procedibilità dell’azione
giudiziale si era in ogni caso avverata, sebbene con ritardo rispetto al termine (ordinatorio) inizialmente assegnato. Ed infatti, il termine di quindici giorni non appare corrispondere a un termine processuale cui applicare il disposto di cui all’art. 154 c.p.c.. Lo spirare di tale termine, invero, non avrebbe neanche dovuto
condurre il giudice a ritenere necessaria una richiesta di proroga del termine, una volta fosse inutilmente spirato, circostanza che avrebbe avuto come effetto (questo sì paradossale) di allungare ulteriormente i termini di espletamento del tentativo di mediazione. Difatti il procedimento di mediazione costituisce una parentesi (giustappunto un’alternativa) del procedimento ordinario; e non può ritenersi come un’appendice di quest’ultimo, certamente sottoposto a più rigorose regole endoprocessuali.
11. Invero, nessuna norma della legge in esame attribuisce allo spirare di quel termine un effetto preclusivo dell’attività di mediazione come, viceversa, affermato dal primo giudice. Lo stesso principio di effettività dei diritti, immanente al diritto di accesso alla giustizia cui si conforma la legge sulla mediazione, imporrebbe di non considerare come penalizzanti termini che la legge non definisce come perentori, e che chiaramente si
devono definire come regolatori degli interessi in gioco. Nella normativa in esame, invero, l’unico termine
perentorio stabilito dalla legge (v. art. 6, comma 1, d.lgs. n.28 del 4.3.2010, come modificato dalla L. n. 98 del 9.8.2913), è riferito al termine di sospensione di tre mesi del giudizio che il giudice non potrebbe superare per consentire l’espletamento del tentativo di mediazione, sia esso obbligatorio che demandato dal giudice ( v. art. 6 “ 1. il procedimento di mediazione ha una durata non superiore a tre mesi. 2. Iltermine di cui al comma 1 decorre dalla data di deposito della domanda di mediazione, ovvero dalla
scadenza di quello fissato dal giudice per il deposito della stessa e, anche nei casi in cui il giudice dispone il rinvio della causa ai sensi del sesto o del settimo periodo del comma 1-bis dell’articolo 5 ovvero ai sensi del
comma 2 dell’articolo 5, non è soggetto a sospensione feriale”). Sempre secondo la legge, l’ esperimento del tentativo di mediazione vale come condizione di procedibilità dell’azione, la quale a sua volta non è sottoposta ad alcun termine se non a quello ordinario previsto eventualmente dalla legge (v. prescrizione o decadenza processuale prevista in caso di opposizione a decreto ingiuntivo). Pertanto sarebbe del tutto
incoerente ritenere che un termine riferito al particolare e alternativo procedimento di mediazione possa incidere così pesantemente sui diritti processuali delle parti.
12. Il caso portato all’esame della Corte, invero, non involge neanche la questione inerente al superamento,da parte del giudice, del termine di tre mesi di sospensione previsto ex lege come perentorio per espletare
il tentativo di mediazione, ma solo quello attinente al tardivo esperimento del tentativo di mediazione
entro il termine di quindici giorni che lo stesso giudice di prime cure ha indicato essere sì un termine
ordinatorio, ma non prorogabile in assenza di istanza di parte rivolta al giudice. Del resto, a questa Corte
non consta che il procedimento di mediazione si sia concluso oltre il termine di sospensione indicato dal
giudice, e quindi con eventuale eccessiva dilazione del diritto di agire (fatto di cui nessuna parte si è
lamentata).
13. In conclusione, si deve assumere che nel procedimento de quo, nonostante il tentativo di conciliazione
sia stato espletato, il giudizio ordinario di opposizione al decreto ingiuntivo sia stato erroneamente
dichiarato improcedibile, da parte del giudice di primo grado, sul rilievo dello spirare di un termine per
l’attivazione del procedimento di mediazione che non è previsto dalla legge come processuale, posto che il
procedimento di mediazione non è assimilabile al procedimento ordinario e costituisce uno strumento di
risoluzione delle liti alternativo al procedimento ordinario e giurisdizionale. Sicché, la mancata osservanza
di un termine finalizzato a regolare un procedimento alternativo a quello giurisdizionale, non potrebbe
certamente avere effetti processuali regolati da norme riferibili solo al procedimento ordinario e, tanto
meno, essere interpretata alla stregua di un mancato avveramento di una condizione di procedibilità
dell’azione, con definitiva compressione del diritto d’azione costituzionalmente protetto.
14. Un’interpretazione di diverso senso, difatti, aprirebbe un vulnus nella stessa legge di mediazione di
derivazione comunitaria che, se nella versione nazionale scelta dal legislatore interno ha previsto come
obbligatorio il tentativo di mediazione nella fase preliminare di alcuni contenziosi civili, come
imprescindibile condizione di procedibilità, rimane pur sempre una disciplina orientata a incentivare
soluzioni delle controversie pacifiche e alternative alla giurisdizione, senza eccessiva compromissione del
diritto di agire, il quale non potrebbe essere impedito frapponendo ulteriori ostacoli temporali o decadenze
processuali incompatibili con il principio del giusto processo e con il diritto di libero accesso alla giustizia, di
matrice costituzionale e convenzionale (v. art. 24 Cost. e art. 6 Convenzione del diritti dell’Uomo ).
15. Per tale motivo, la Corte ritiene che nel caso specifico non possa operare la causa di improcedibilità
ravvisata d’ufficio dal giudice, rendendosi necessario riformare in questo punto la sentenza impugnata.
Conseguentemente, il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo in esame, essendo stato inutilmente
esperito il tentativo di mediazione previsto come obbligatorio dalla legge, deve essere considerato
procedibile.
16. Sotto il profilo degli effetti di tale dichiarazione di procedibilità dell’azione resa in sede di appello, per
un giudizio che non si è svolto nel primo grado perché erroneamente dichiarato improcedibile, valgono i
principi comuni che regolano il processo d’appello, non potendo la controversia regredire alla fase di primo
grado (mancandone i presupposti di legge indicati tassativamente nell’art. 354 cpc quali cause di
rimessione del giudizio al primo giudice).
Pertanto, la questione sottoposta all’esame della Corte deve essere considerata nel merito in questa fase di
appello.
17. Per questo motivo la Corte ha ritenuto di dovere ammettere ed espletare la CTU grafologica richiesta
dalla parte opposta mediante istanza di verificazione, della quale si terrà conto ai fini della decisione.
Sulla seconda questione
18. L’opponente, prendendo atto che, all’esito della CTU disposta da questa Corte, la sottoscrizione della
scrittura (fideiussione) si è rivelata autentica, ha dedotto che l’erronea decisione del Giudice di prime cure
per i motivi procedurali sopra espressi, ha di fatto impedito che l’istruttoria si potesse espletare nel primo
grado di giudizio, avendo il Giudice invitato le parti alla precisazione delle conclusioni per l’udienza del
21.1.2016, udienza nella quale è stata pronunciata la sentenza contestuale oggetto del presente appello. Se
il procedimento di opposizione avesse avuto un corso regolare, continua l’appellante, l’accertamento della
verifica della firma sarebbe stato compiuto in primo grado, con il risparmio di un intero grado di giudizio (e
cioè quello di appello), resosi necessario. Inoltre, se è vero che la parte opponente è incorsa nell’errore di
non riconoscere da subito la propria sottoscrizione, è altrettanto vero che l’opposto avrebbe concorso, con
il proprio atteggiamento processuale, a indurre in errore l’opponente. In sostanza, se l’opposto avesse
esibito l’originale della fideiussione al momento del ricorso per decreto ingiuntivo, già certamente nella
disponibilità del ricorrente ( fatto che avrebbe dovuto costituire condizione necessaria ai fini della
concessione e dell’emissione del decreto), l’opponente non sarebbe stato indotto a proporre opposizione,
non essendo nelle condizioni di verificare la propria firma autografa in base ad una semplice fotocopia.
19. La banca appellata, quanto al merito, si riportava alle conclusioni svolte dal CTU.
Opinione della Corte
20. Per quanto attiene al merito della controversia, questa Corte rileva che la CTU espletata nel
procedimento di appello per i motivi sopra espressi ha permesso di accertare che la sottoscrizione,
disconosciuta dall’opponente con l’atto di opposizione, fosse autentica e quindi riferibile all’opponente.
21. In merito, l’opponente non può lamentarsi della tardività della produzione dell’originale della
fideiussione a motivo del superficiale disconoscimento effettuato all’atto della produzione della copia
fotostatica della fideiussione in sede di opposizione al decreto ingiuntivo, posto che, da un lato, non ha
dimostrato che la produzione della sola copia fotostatica (del tutto ammissibile nella fase monitoria) gli
abbia impedito il riconoscimento della propria sottoscrizione, dall’altro, la successiva produzione
dell’originale avrebbe dovuto indurlo a mutare atteggiamento e difesa processuale, senza insistere sulle
questioni processuali preliminari sopra decise e poste a fondamento dell’appello.
22. La CTU grafologica espletata in tale fase ha permesso di accertare la veridicità della firma apposta dal
fideiussore. Nel merito quindi si è rivelata sostanzialmente infondata l’opposizione svolta dal C. e del tutto
fondata la domanda di adempimento dell’obbligazione di pagamento svolta dalla banca, sin dalla prima
fase monitoria, nei confronti del Sig. C., con ogni conseguenza in ordine alle spese di giudizio, da calcolarsi
sulla base della nota spese prodotta e delle tabelle in uso. Con la conseguenza che l’appello, incentrato
sull’errore processuale commesso dal primo giudice, si è rivelato sostanzialmente infondato nella parte
riguardante la questione di merito, con ulteriore dispendio di energie e spese anche a carico della parte
appellata.
Sulle spese
23. Attesa la sostanziale soccombenza dell’opponente appellante, le spese del giudizio di primo grado,
liquidate in € 4000,00, oltre spese forfettarie , Iva e CPA , e quelle di tale fase di giudizio, liquidate in €
5.000,00 , oltre spese forfettarie, spese di CTU separatamente liquidate, oneri per Iva e CPA , sono poste a
carico dell’appellante in favore della parte appellata, convenuta opposta.
P.Q.M .
La Corte d’appello di Milano, definitivamente pronunciando sull’appello proposto:
I. In riforma della sentenza n. 156/2016 del tribunale di Monza, dichiara procedibile l’opposizione a decreto
ingiuntivo;
II. Nel merito, respinge l’opposizione a decreto ingiuntivo proposta da L. C. nei confronti di I..spa,
confermando integralmente il decreto ingiuntivo opposto;
III. Condanna L. C. al pagamento delle spese del primo grado di giudizio liquidate in € 4000,00, oltre spese
forfettarie , Iva e CPA , e di quelle della fase di appello, liquidate in € 5.000,00, oltre spese forfettarie, spese
di CTU separatamente liquidate, e oneri per Iva e CPA, in favore della parte appellata I.. spa.

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